Gli scienziati hanno scoperto perché gli squali attaccano i surfisti: la spiegazione demolisce tutto quello che credevi di sapere
Dimentica tutto quello che pensavi di sapere sugli squali. Quella storia dello squalo assassino che ti insegue per mangiarti? Completamente falsa. Quella teoria secondo cui sono attratti dal sangue come vampiri marini? Anche questa è una bufala. Per decenni ci siamo raccontati storie horror sugli squali bianchi che non hanno nulla a che fare con la realtà, e ora finalmente la scienza ha messo le cose in chiaro.
Uno studio rivoluzionario della Macquarie University, pubblicato sul prestigioso Journal of the Royal Society Interface, ha finalmente risolto uno dei misteri più inquietanti del mare: perché diavolo gli squali attaccano i surfisti? La risposta è così semplice che ti farà sentire stupido per aver creduto a tutte quelle leggende metropolitane.
Gli squali non ti vogliono mangiare. Non sanno nemmeno che sei un essere umano. Quando un grande bianco attacca un surfista, pensa letteralmente di star mordendo una foca. È un caso di scambio di identità su scala oceanica, e la colpa è tutta della loro vista terribile.
Il plot twist che nessuno si aspettava: gli squali sono praticamente ciechi
Ecco la verità che ti farà crollare il mondo addosso: gli squali bianchi sono daltonici e vedono peggio di tuo nonno senza occhiali. Quando nuotano nelle profondità marine e guardano verso la superficie, non riescono a distinguere un surfista su una tavola da una foca che nuota tranquillamente.
I ricercatori hanno scoperto che il sistema visivo degli squali, specialmente nei giovani esemplari, è completamente inadeguato per fare distinzioni precise. Vedono una sagoma scura contro la luce del sole, notano delle appendici che si muovono (le braccia e le gambe del surfista, oppure le pinne della foca), e il loro cervello primitivo fa un collegamento immediato: “Eccolo, il mio pranzo!”
Ma qui arriva la parte che demolisce completamente l’immagine dello squalo mostro: nella stragrande maggioranza dei casi, dopo il primo morso se ne vanno immediatamente. Non è che continuano ad attaccare fino a divorarti completamente. Mordono, si rendono conto che hai un sapore schifoso, e spariscono più velocemente di quanto siano arrivati.
Gli scienziati chiamano questo comportamento morso e rilascio, ed è la prova definitiva che non abbiamo mai avuto a che fare con dei serial killer marini. È come se assaggiassero qualcosa di disgustoso e lo sputassero immediatamente. Se fossero davvero interessati a mangiarci, perché dovrebbero fermarsi al primo morso?
L’errore che ha ingannato la scienza per decenni
Per anni, gli esperti ci hanno riempito la testa con teorie completamente sbagliate. “Gli squali sono attratti dal sangue umano“, dicevano. “Sono territoriali e aggressivi”, sostenevano altri. “Attaccano quando si sentono minacciati”, era un’altra spiegazione popolare.
Tutte balle colossali.
Il sangue umano non è particolarmente attraente per gli squali. Non più di quanto lo sia l’acqua di mare normale. E la teoria della territorialità? Gli squali non sono animali territoriali nel senso tradizionale del termine. Sono nomadi degli oceani che seguono le correnti, le prede e le stagioni. Non hanno un territorio da difendere come un cane da guardia.
Queste spiegazioni naive sono nate dalla nostra tendenza a umanizzare gli animali, proiettando su di loro le nostre paure e i nostri comportamenti. Abbiamo trasformato gli squali in mostri perché era più facile demonizzarli che capirli davvero.
I giovani squali sono i veri protagonisti del caos
Uno dei dettagli più interessanti emersi dalla ricerca è che la maggior parte degli attacchi di squalo è opera di squali giovani. E questo non è affatto un caso.
Pensa a un teenager umano che sta imparando a guidare: fa errori, non ha esperienza, e ogni tanto combina qualche disastro. Gli squali giovani sono esattamente nella stessa situazione, solo che invece di schiantarsi contro un palo della luce, mordono un surfista pensando che sia una foca.
Non nascono con un manuale di istruzioni su come distinguere una preda vera da un falso allarme. Devono imparare sul campo, e purtroppo questo processo di apprendimento include inevitabilmente qualche errore di valutazione. Gli squali adulti, con tutta la loro esperienza, sono molto più bravi a identificare le prede reali e tendono a ignorare i surfisti.
È per questo che gli attacchi mortali sono relativamente rari: la maggior parte degli squali maturi ha già capito che gli umani non sono cibo e semplicemente li evita.
La perfetta tempesta sensoriale che causa gli attacchi
Ma la storia non finisce con la vista. Gli squali sono dotati di un arsenale sensoriale che farebbe invidia a qualsiasi film di fantascienza, e paradossalmente proprio questi super-sensi contribuiscono agli errori di identificazione.
Quando un surfista pagaia o cavalca un’onda, la sua tavola da surf produce vibrazioni e suoni che si propagano nell’acqua. Per uno squalo, questi rumori possono essere sorprendentemente simili a quelli prodotti da una foca che nuota in superficie. È come se ricevessero un segnale di conferma che quello che stanno vedendo è effettivamente una preda.
E poi ci sono le famose ampolle di Lorenzini, degli organi sensoriali che permettono agli squali di percepire i campi elettrici prodotti da tutti gli esseri viventi. Ogni battito cardiaco, ogni contrazione muscolare, ogni movimento genera elettricità, e gli squali possono letteralmente “sentire” la tua presenza elettrica nell’acqua.
Ma anche questo sistema ultra-sofisticato può essere fuorviante. I segnali elettrici di un surfista che si muove sulla tavola possono assomigliare a quelli di una foca, contribuendo ulteriormente all’errore di identificazione.
È come se gli squali fossero vittime di una perfetta tempesta sensoriale: vedono qualcosa che sembra una preda, sentono suoni che confermano la loro ipotesi, e percepiscono segnali elettrici che sembrano dare ragione ai loro istinti. Basandosi su informazioni completamente sbagliate, prendono la decisione di attaccare.
Non tutti gli attacchi sono uguali: ecco come funziona davvero
Gli scienziati hanno catalogato tre tipi principali di attacco, e ognuno racconta una storia diversa:
- Colpo e fuga: lo squalo urta la vittima e se ne va, spesso senza nemmeno mordere. È come se stesse “testando” qualcosa di sconosciuto.
- Urto e morso: un morso veloce seguito da un immediato allontanamento. È il classico “assaggio” che finisce male.
- Attacco a sorpresa: il più drammatico ma anche il più raro, spesso causato da squali molto giovani o particolarmente confusi.
In tutti e tre i casi, il comportamento è molto più simile a quello di un animale curioso che sta esplorando qualcosa di nuovo, piuttosto che a quello di un predatore che ha identificato chiaramente la sua preda e sta andando a caccia.
Perché Hollywood ci ha mentito per decenni
La rappresentazione cinematografica degli squali ha fatto danni incalcolabili alla nostra comprensione di questi animali. Film come “Lo Squalo” di Spielberg hanno creato un’immagine completamente distorta: quella dello squalo come macchina assassina programmata per uccidere umani.
Questa narrazione hollywoodiana ha influenzato non solo il pubblico, ma anche alcuni ricercatori che hanno cercato di spiegare gli attacchi partendo dal presupposto sbagliato che gli squali fossero intrinsecamente aggressivi verso gli umani.
La realtà è molto più banale e, paradossalmente, molto più affascinante. Gli squali sono predatori incredibilmente sofisticati che hanno evoluto strategie di caccia perfette per le loro prede naturali. Il problema è che noi non siamo tra queste prede, e quando ci scambiano per qualcos’altro, nasce la confusione.
Cosa significa tutto questo per la sicurezza in mare
Questa nuova comprensione del comportamento degli squali non è solo una curiosità scientifica. Ha implicazioni pratiche enormi per la sicurezza dei bagnanti e per le strategie di prevenzione.
Se sappiamo che gli attacchi sono principalmente errori di identificazione visiva, possiamo sviluppare contromisure più efficaci. Tavole da surf con colori e pattern che le rendano chiaramente distinguibili dalle foche, dispositivi che emettono suoni specifici per “avvertire” gli squali della presenza umana, o tecnologie che interferiscono con i loro sensi elettrici.
Alcuni ricercatori stanno già lavorando su sistemi di deterrenza basati su questa nuova conoscenza. L’idea è di sfruttare la sensibilità sensoriale degli squali per comunicare loro in modo chiaro: “Ehi, non sono una foca, sono un umano, e non sono buono da mangiare”.
Ma la scoperta più importante è forse un’altra: gli squali non sono i mostri che pensavamo. Sono animali complessi che stanno semplicemente cercando di sopravvivere in un mondo sempre più complicato, e la maggior parte delle volte ci ignorano completamente.
La prossima volta che sentirai parlare di un attacco di squalo, ricordati che non è un assassino che ha colpito ancora. È probabilmente solo un giovane squalo confuso che ha scambiato un surfista per il suo pranzo abituale. E quando si è accorto dell’errore, se n’è andato tanto velocemente quanto era arrivato, probabilmente altrettanto traumatizzato dall’esperienza.
Forse è arrivato il momento di smettere di demonizzare questi incredibili predatori e iniziare a rispettarli per quello che sono realmente: una parte essenziale dell’ecosistema marino che merita la nostra protezione, non la nostra paura irrazionale.
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