Cos’è il presentismo lavorativo? Quando restare in ufficio diventa una dipendenza psicologica

Sono le 20:30 di un venerdì sera e tu sei ancora alla scrivania. I tuoi colleghi sono andati via ore fa, le pulizie stanno passando l’aspirapolvere e tu stai ancora lì, a fissare lo schermo del computer fingendo di essere super impegnato. Ma la verità? Probabilmente stai solo scrollando le email per la ventesima volta o sistemando un documento che era già perfetto tre ore fa. Benvenuto nel mondo del presentismo lavorativo, il fenomeno che sta trasformando migliaia di italiani in zombie da ufficio.

Non parliamo di semplice dedizione al lavoro. Il presentismo è qualcosa di molto più sottile e pericoloso: è quella spinta irresistibile a rimanere fisicamente presenti sul posto di lavoro anche quando non ce n’è alcun bisogno reale. È come avere una dipendenza, ma invece di sostanze chimiche, la tua droga è l’ufficio.

Quando l’ufficio diventa la tua comfort zone

Il termine “presentismo” è stato coniato dagli psicologi del lavoro per descrivere inizialmente la tendenza delle persone a recarsi in ufficio anche quando sono malate. Ma negli ultimi anni, soprattutto con l’avvento del telelavoro e della cultura della reperibilità continua, il concetto si è evoluto. Ora include tutti quei comportamenti che ci spingono a rimanere “connessi” al lavoro ben oltre il necessario.

Secondo la ricerca di Gary Johns del 2010, uno dei pionieri nello studio di questo fenomeno, il presentismo è una risposta comportamentale a pressioni sia interne che esterne. In pratica, il nostro cervello sviluppa una sorta di ansia sociale legata al lavoro, dove staccare diventa fonte di stress invece che di sollievo.

Il bello è che spesso non ce ne rendiamo nemmeno conto. Ci convinciamo di essere “professionali” o “dedicati”, quando in realtà stiamo solo evitando di affrontare il mondo là fuori. È come rimanere sempre nella stessa pizzeria perché almeno sai che la margherita è buona, invece di esplorare il quartiere.

I segnali che dovresti riconoscere

Come fai a capire se anche tu sei vittima del presentismo? Ecco alcuni segnali che dovrebbero farti scattare un campanello d’allarme. Primo: controlli compulsivamente le email anche durante il weekend. Se la prima cosa che fai quando ti svegli la domenica mattina è aprire la posta del lavoro, probabilmente hai un problema.

Secondo segnale: ti senti in colpa quando lasci l’ufficio “in orario”. Se andartene alle 18:00 ti fa sentire come se stessi abbandonando una nave che affonda, è un chiaro sintomo di presentismo. Terzo: hai sviluppato una paura irrazionale del giudizio dei colleghi. Se il pensiero di dire “no” a una riunione o a un progetto ti genera ansia, potrebbe essere che tu stia usando il lavoro come una sorta di scudo sociale.

Gli studi di Demerouti e colleghi hanno evidenziato come questa paura del giudizio sia uno dei motori principali del presentismo. È come se il nostro cervello avesse sviluppato un sistema di allarme difettoso che suona ogni volta che pensiamo di “non fare abbastanza”.

La psicologia nascosta dietro il fenomeno

Ma cosa succede davvero nella nostra mente quando sviluppiamo questo comportamento? La risposta è più complessa di quanto si possa pensare. Il presentismo ha radici profonde nella nostra psiche e spesso maschera paure e insicurezze che non vogliamo affrontare.

Il primo meccanismo è quello che gli psicologi chiamano evitamento emotivo. Per molte persone, il lavoro diventa un rifugio sicuro dove non bisogna confrontarsi con le complessità della vita personale. Problemi di coppia? Meglio rimanere in ufficio. Ansia per il futuro? Almeno qui so cosa fare e mi sento competente.

Il secondo elemento è la ricerca di validazione esterna. Secondo le ricerche sulla psicologia del lavoro, molte persone utilizzano la presenza fisica (o virtuale) costante come un modo per comunicare agli altri il proprio valore. È un po’ come quando da bambini facevamo i compiti davanti ai genitori per essere sicuri che vedessero quanto eravamo bravi.

Il terzo fattore è quello che viene definito perfezionismo disfunzionale. Alcune persone semplicemente non riescono a “staccare” finché non hanno la sensazione di aver fatto tutto perfettamente. Ma nella realtà lavorativa moderna, c’è sempre qualcosa in più da fare, sempre un’email da controllare, sempre un dettaglio da sistemare. È come cercare di svuotare l’oceano con un secchiello.

L’effetto contagio negli uffici

Una delle cose più insidiose del presentismo è che si diffonde come un virus nell’ambiente di lavoro. Quando una persona rimane sistematicamente oltre l’orario, crea una pressione implicita sui colleghi a fare lo stesso. È quello che gli psicologi chiamano “conformismo sociale”: nessuno vuole essere quello che “scappa” per primo.

Le ricerche di Aronsson e colleghi hanno dimostrato che questo comportamento può rapidamente diventare la norma in un team, creando un circolo vizioso dove tutti rimangono in ufficio non perché c’è realmente bisogno, ma perché lo fanno gli altri. È come trovarsi in una fila dove nessuno ricorda più perché si sta facendo la fila, ma tutti continuano a farla.

Quando il corpo e la mente dicono basta

Il presentismo non è solo una questione di gestione del tempo: ha conseguenze reali e misurabili sulla salute. E non parliamo solo di stanchezza o mal di testa. Le ricerche hanno evidenziato una serie di effetti collaterali che fanno paura.

Dal punto di vista fisico, il presentismo è associato a un aumento significativo dei disturbi muscoloscheletrici, problemi cardiovascolari e un indebolimento progressivo del sistema immunitario. È come se il nostro corpo fosse costantemente in modalità “emergenza”, con tutti i sistemi di allerta sempre attivi.

Ma gli effetti psicologici sono ancora più preoccupanti. Il presentismo è spesso un precursore diretto del burnout, quella condizione di esaurimento emotivo che può richiedere mesi o anni per essere completamente superata. Secondo gli studi di Baloise del 2024, questo fenomeno è in costante aumento, soprattutto con la diffusione del telelavoro che ha reso i confini tra vita privata e professionale ancora più sfumati.

Ma c’è un aspetto ancora più sottile: il presentismo può portare a quello che viene definito “deterioramento delle relazioni interpersonali”. Quando tutto il nostro tempo ed energia vengono assorbiti dal lavoro, inevitabilmente le relazioni con famiglia e amici ne risentono. È come se stessimo lentamente erodendo le fondamenta della nostra vita sociale.

Il paradosso della produttività

Ecco la parte più ironica di tutta questa storia: il presentismo non solo non aumenta la produttività, ma spesso la diminuisce drasticamente. È come guidare un’auto con il freno a mano tirato: fai più fatica, vai più piano, ma continui a premere sull’acceleratore pensando che prima o poi arriverai più veloce.

Le ricerche hanno dimostrato che le persone che praticano il presentismo tendono a commettere più errori, a prendere decisioni peggiori e a essere meno creative. Il cervello umano ha bisogno di pause e di stacchi per funzionare al meglio. Quando lo forziamo a rimanere sempre “acceso” in modalità lavoro, è come chiedere a uno smartphone di far girare contemporaneamente cento app: prima o poi si blocca.

Come riconoscere se sei nella trappola

Ora che abbiamo capito cos’è il presentismo e perché si sviluppa, probabilmente ti stai chiedendo: “Ma io ce l’ho questo problema?” Non esiste un test diagnostico ufficiale, ma ci sono alcuni campanelli d’allarme che vale la pena considerare seriamente.

Fatti queste domande: controlli le email di lavoro appena ti svegli, prima ancora di andare in bagno? Ti senti fisicamente a disagio quando pensi di dover rifiutare un progetto o una riunione? Hai mai mentito sui tuoi impegni personali per rimanere disponibile per il lavoro? Usi il lavoro come scusa per evitare situazioni sociali o problemi personali?

Un altro segnale importante è quello che gli psicologi del lavoro chiamano informalmente “il test della domenica sera”. Se ogni domenica sera ti senti ansioso, depresso o stressato al pensiero del lunedì mattina, non è normale. Dovrebbe essere un segnale di allarme che il tuo rapporto con il lavoro è diventato tossico.

Infine, osserva i tuoi comportamenti sociali. Se ti accorgi che stai evitando sistematicamente cene con gli amici, eventi familiari o hobby perché “hai troppo lavoro”, potrebbe essere che tu stia usando il lavoro come una forma di evitamento sociale mascherato da professionalità.

Strategie per spezzare il ciclo

La buona notizia è che il presentismo è un comportamento appreso, e come tale può essere disimparato. Non è facile, richiede tempo e pazienza, ma è assolutamente possibile ristabilire un rapporto sano con il lavoro.

La prima strategia è imparare a stabilire confini chiari. Questo significa decidere un orario oltre il quale non controlli più le email, creare uno spazio fisico in casa che sia completamente separato dal lavoro, e soprattutto spegnere le notifiche lavorative durante i weekend. Sembra banale, ma per molte persone è rivoluzionario.

La seconda strategia è lavorare sulla propria autostima e sulle fonti di validazione personale. Ricorda che il tuo valore come persona non dipende da quante ore passi davanti al computer, ma dalla qualità del tuo lavoro e del tuo contributo. È un cambio di mentalità che richiede tempo, ma è fondamentale.

La terza strategia è sviluppare quella che gli psicologi chiamano “assertività lavorativa”: la capacità di dire no quando necessario, di delegare quando possibile, e di comunicare chiaramente i propri limiti. Non è maleducazione, è autoconservazione.

Infine, se ti rendi conto che il problema è più serio di quanto pensassi, non esitare a chiedere aiuto professionale. Un counselor o uno psicologo del lavoro possono aiutarti a identificare le cause profonde del tuo comportamento e a sviluppare strategie personalizzate per superarlo.

Il potere della consapevolezza

Il primo passo per liberarsi dal presentismo è diventare consapevoli del proprio comportamento. Prova a tenere un diario per una settimana: annota ogni volta che rimani al lavoro oltre l’orario necessario e chiediti onestamente perché lo stai facendo. Spesso la semplice consapevolezza è sufficiente per iniziare a cambiare.

Ricorda una cosa importante: il lavoro dovrebbe essere una parte significativa della tua vita, non tutta la tua vita. Ci sono relazioni da coltivare, esperienze da vivere, passioni da esplorare. Il presentismo ci ruba tutto questo, facendoci credere che stiamo facendo qualcosa di produttivo quando in realtà stiamo solo evitando di vivere pienamente.

La prossima volta che ti trovi davanti al computer alle 20:00 di un venerdì sera, fermati un momento e chiediti: “Cosa sto davvero facendo qui?” La risposta potrebbe sorprenderti e potrebbe essere l’inizio di un cambiamento positivo nella tua vita. Perché alla fine, la vera produttività non si misura in ore trascorse in ufficio, ma nella qualità del tempo che dedichiamo a tutte le cose che rendono la vita degna di essere vissuta.

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